Intervista a Blef, leggenda italiana del writing.
Throwup Magazine ha avuto l’onore e il piacere di intervistare Blef, vera e propria leggenda dei graffiti. Attivo dai primi anni 90 è stato uno dei writer più prolifici dello stivale, diventando un vero e proprio pilastro della scena italiana, ma non solo. Ecco cosa ci ha raccontato…
Ciao Blef, innanzitutto grazie per aver accettato la nostra intervista. È un onore poterti intervistare… Quando hai iniziato nei primi anni ‘90 sicuramente non eravate in molti. Puoi farci una panoramica della scena genovese/ligure dell’epoca? Chi erano i nomi e le crew più rappresentative in quegli anni e come li hai conosciuti? A quali persone sei rimasto particolarmente legato?
Nei primi anni ’90 iniziai a fare dei disegni sui muri, credo nel 1992. Di sicuro mi divertivo parecchio, disegnavo ovunque ed ogni mio gesto veniva osservato anche da altri ragazzi che a differenza mia già erano entrati in contatto con la cultura Hip Hop ed erano più consapevoli di ciò che facevano. Iniziai ad acquisire anch’io una certa consapevolezza dopo aver incontrato dei writers nella Hall of Fame di SID. “VIA 0I0″ era la sua crew, io invece in quel momento non avevo ancora un nome. Scrivevo parole e frasi, disegnavo puppet, ma ancora non coglievo l’importanza di scegliere un nome. Dopo poco tempo scelsi SIRK, poi KRIS, fino a quando nel 1996 non iniziai a scrivere BLEF.
Un sabato pomeriggio andammo a scrivere i nostri nomi tutti assieme sotto un ponte e da lì in poi la mia vita cambiò. Imparai a poco a poco a comprendere il linguaggio dei writers anche se non era facile, me ne rendevo conto quando incontravo altre persone del giro in centro a Genova. Non pensavo esistesse una scena/ cultura così sviluppata, tanto che in un primo momento ne fui quasi terrorizzato. Le persone conosciute fino a quel momento erano pochissime, alcune di queste sparivano mentre altre si avvicinavano ed entravano a far parte del gruppetto di Writers che si andava formando. Guardando indietro posso dire che molto è cambiato, tuttavia a distanza di quasi 30 anni sono ancora qui a disegnare e divertirmi come quando ne avevo 16.
Prima di farti conoscere in tutta Italia (e non solo) con il nome Blef hai avuto altre tag e sperimentato altre lettere. È corretto dire che la scelta del nome Blef rappresenta per te non soltanto un punto di partenza, ma anche il completamento di un tuo primo percorso artistico o semplicemente questi cambiamenti, come per molti, sono stati dettati da ragioni di “sicurezza” e di “anonimato”?
È difficile scegliere un nome che ti rappresenti. Come dicevo prima, nel 1996 iniziai a scrivere BLEF ed erano già passati 4 anni da quando avevo iniziato a dipingere. Avevo scelto anche altri nomi oltre a quelli già citati: KROS, HOME, HOMER, GEBS, ma si trattava sempre di scelte fatte in fretta, come se non avessero importanza e, in più, ogni nome scelto si avvicinava in qualche modo a quello di altri writers e quindi non andava bene. Scelsi BLEF perché non c’era nessun altro che si chiamasse così. Nel frattempo avevo già acquisito una certa esperienza ed ero pronto per fare un salto di qualità: ero già in grado di progettare lettere in wild style senza troppi problemi e così preparai un BLEF che dipinsi ad Acqui Terme. Da lì in poi ho dipinto tantissimo, pezzi su pezzi, in un continuo crescendo di qualità e quantità.
Quanto sono importanti lo studio e la “gavetta” nel percorso di un writer e quali sono i requisiti da raggiungere prima di potersi definire un “Writer” con la W maiuscola?
Entrambe le cose, studio e gavetta, sono davvero importanti per ognuno di noi. Ci vuole tempo (parecchio), dedizione (totale), fortuna (che non guasta), ma soprattutto ci vuole rispetto per ciò che si fa. A caratterizzarmi è sempre stata la tecnica nel dipingere e il fatto di scegliere i colori in maniera ponderata. Se me lo chiedi, nel mio modo di vedere le cose i requisiti per essere un bravo writer non sono mai esistiti, né allora né ora: si tratta di qualcosa di troppo soggettivo.
Sei stato senza ombra di dubbio uno dei writer più attivi di sempre in Italia, i tuoi treni erano ovunque… Immagino che non li avrai contati, ma giusto per curiosità, hai una vaga idea del numero di pannelli realizzati in carriera? A tal proposito, sei d’accordo sul fatto che la quantità è uno dei requisiti fondamentali per giudicare il valore di un writer. Perché?
Non ho mai contato i miei treni. Dipingere molto era la normalità, lo richiedeva la continua ricerca di stile e perfezione. Tutto questo era talmente importante che materialmente non facevo tempo a finire un pannello che già stavo pensando ad altro, poco importa che si trattasse di qualcosa di più grande come un whole car o un end to end, di più complesso come un wild style, di più spontaneo o semplice come un bombing. Tuttavia non penso alla quantità come a qualcosa di importante, secondo me la qualità e la tecnica lo sono molto di più.
Ti sei mai chiesto cosa ti spingeva a dipingere così tanto? Era solo una valvola di sfogo, dipendenza da adrenalina o la tua attività era dettata da quella sana competizione che correva tra le crew? Questa competizione è mai degenerata in scazzi o episodi poco piacevoli o c’è sempre stato rispetto e stima reciproca?
L’esigenza di “trovare un sfogo”, la sensazione di benessere che dà l’adrenalina quando entra in circolo, la voglia di migliorarmi e di crescere mi hanno portato ad affrontare il percorso da writer così per come ho fatto io. Sicuramente tutti questi fattori mi hanno motivato a fare tanto e fare meglio; però ha inciso molto il mio background culturale e le mie esperienze di vita vissuta. Posso dire di essere riuscito a incanalare le mie energie verso uno scopo e usarle per creare qualcosa di positivo, in questo senso il writing mi ha salvato la vita. Certo, la competizione è un altro di quei fattori che rientrano a pieno titolo tra gli stimoli che ti spingono a fare meglio e a dare sempre di più. Osservavo principalmente la scena milanese e mi sentivo in qualche modo in competizione con questa, competere è sempre stato per me un motivo di crescita.
La prima crew che ci viene in mente quando pensiamo al tuo nome è ovviamente i MOD (Master of Disasters); ma hai fatto parte anche di altre crew come PDB e 2D insieme a Dafne… Parlaci un po delle tue crew….
Con DAFNE eravamo i 2D, il Duo Dinamico, ricordo quegli anni come un periodo meraviglioso. Insieme abbiamo spaccato TUTTO, eravamo entrambi giovani anche se lei aveva già parecchia esperienza e questo è stato per me un insegnamento importante! In PDB siamo alcuni Poco Di Buono uniti da legami ormai storici. Ne fanno parte alcuni dei writers che maggiormente hanno segnato l’evoluzione del writing in Italia. Uno su tutti il suo fondatore Sir 2. I MOD, Masters Of Disaster, mi uniscono ad alcuni dei migliori writers del veneto e dintorni: FAKSO, ZUEK, CENTO, RES, RAME e NEO. Poco importa se ormai molti di loro non vivono più in Italia o non siano attivi come un tempo; insieme abbiamo fatto letteralmente dei disastri.
Ultime, ma solo in ordine della loro nascita o della mia adesione, le crew PUSHERS, SUPERFLUO e PUF.
Probabilmente in Italia non sono molte le yard nelle quali non hai messo piede… In base a che criteri le sceglievi e com’era il primo approccio a una nuova yard? Preferivi prima studiarle attentamente per non esser colto impreparato in caso di fuga o aspettavi il momento buono, ti buttavi e via?
È vero, ho dipinto in tantissime yard. Sicuramente in alcuni casi avevo dei contatti con writers del posto, ma in linea di massima ho sempre deciso per me il da farsi, sono sempre stato attento e attivo nel prendere scelte mentre mi trovavo tra i binari. È questione di mentalità. Con alcuni writers – i miei compagni di crew MOD, ma anche altri con i quali ho condiviso parecchi “colpi” in yard – si è creato nel tempo un rapporto di fiducia e affiatamento che ha sempre permesso di gestire al meglio le situazioni. Ho dipinto anche all’estero, quasi sempre da solo, e se ci sono riuscito. È stato proprio per il fatto di saper “studiare” un posto. Più fai esperienza e più impari a muoverti meglio, la mia rapidità di esecuzione di un pezzo è stato un altro di quegli elementi che ha sempre giocato a mio favore.
C’è un aneddoto accaduto in yard che ti è rimasto particolarmente impresso o che ti ha segnato in modo indelebile che ci vuoi raccontare? Se non erro si narra che una volta ti hanno anche sparato, che cosa hai provato in quel momento? Sei mai stato colto sul fatto o sei sempre riuscito a fuggire?
Fortunatamente non ho mai avuto grossi problemi e mi sono sempre mosso bene, anche se non sono mancati momenti difficili. Più di uno. Tra i tanti, ricordo questo episodio: 25 anni fa ero a Roma per dipingere e ad un certo punto siamo dovuti fuggire. Ci fu un inseguimento da parte della polizia durante il quale vennero esplosi alcuni colpi e alla fine vennero presi due miei amici writers. Io fortunatamente riuscii a scappare e a nascondermi in un posto insieme a Panda, un altro writer che era insieme a noi. Dopo essere rimasti nascosti per un po’, tornammo allo scoperto e incontrammo Dafne che ci raccontò dell’epilogo dei due compagni presi dalle forze dell’ordine. Ricordo di aver avuto paura poichè era stata avviata un’indagine che per fortuna si concluse con un nulla di fatto.
Che evoluzione (o involuzione) hai potuto notare nel Writing durante questi anni? Hai notato un cambiamento? Che impatto pensi abbia avuto sui graffiti l’avvento e la diffusione dei social network?
Negli ultimi anni, con il crescere dei social network, lo stile è venuto a mancare. Meglio, un certo stile. L’influenza globale ha schiacciato le peculiarità stilistiche locali delle singole scene, senza contare che abbiamo assistito ad un appiattimento generale della creatività. Molti writers hanno scelto una strada diversa, tanti hanno smesso e per questo motivo l’avvento dei social ha velocizzato, quando non ha direttamente innescato, un trend negativo. Questa almeno è la mia opinione e non credo sia infondata.
Siamo in chiusura, c’è qualcosa che non ti abbiamo chiesto che ci vuoi raccontare o c’è qualche progetto che ti sta a cuore al quale stai lavorando di cui desideri parlarci?
Tutto il tempo che è passato dal momento in cui ho iniziato è letteralmente volato, sono successe una quantità di cose che non avrei mai immaginato. Le ho affrontate come writer e come uomo, cercando sempre di dare il massimo. A volte è importante fermarsi e mettere in prospettiva tutte le esperienze fatte, aiuta a fare meglio e a non dimenticare il valore che esse hanno. Raccoglierle, fare in modo che questo “bagaglio” possa essere di aiuto a me come a qualcun altro: questo è il mio progetto. Spero di riuscire a realizzarlo.