Cor Veleno: «Facciamo ciò che ci pare: solo così Fuoco Sacro e processo creativo convergono»
“Fuoco Sacro”, ultimo album dello storico gruppo della scena Hip-Hop romana, i Cor Veleno, oggi composto ancora da Grandi Numeri, Squarta e Gabbo, rappresenta il loro amore incondizionato per l’Hip-Hop in tutte le sue forme e nelle diverse generazioni che si avvicendano. Abbiamo avuto il piacere di farci raccontare “Fuoco Sacro” dai Cor Veleno in persona, che ci hanno parlato anche della loro volontà di continuare a sperimentare sempre nuove sonorità e flow, mantenendo l’essenza del loro stile intatta, della loro idea di “integrità” artistica nella scena musicale attuale, di alcuni dei principali aspetti in cui sentono maggiormente mancare il contributo artistico di Primo Brown (R.I.P) e molto altro.
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Ciao ragazzi! È un grande onore per noi farvi qualche domanda in occasione del vostro ultimo album, intitolato Fuoco Sacro e terzo album dei Cor Veleno dopo la dipartita di Primo Brown (R.I.P). Il titolo dell’album e dell’ultima traccia del disco risulta infatti evocativo, sembra rappresentare qualcosa che viene dall’interno. Quindi, perché la scelta del titolo “Fuoco Sacro” e cosa ha alimentato e continua ad alimentare questo fuoco dopo tanti anni di onorata carriera e quasi una decade da una perdita così pesante come quella di Primo?
GRANDI NUMERI: Fuoco Sacro è la somma di tutto quello che abbiamo fatto in questi anni successivi alla scomparsa di Primo. Per noi quel Fuoco Sacro è qualcosa che ci ha sempre protetto e rappresentato e ci ha dato la forza necessaria per resistere dal primo giorno ad oggi.
Abbiamo voluto rendere un omaggio alle tre scene del momento: quella contemporanea, quella storica, e quella dell’hip hop che verrà. È un album che vuole rappresentare tutto l’amore che abbiamo per l’hip hop.
Qual è stato il percorso di avvicinamento e, poi, realizzazione dell’album? E’ un’idea che parte da lontano o è nato tutto abbastanza velocemente?
GABBO: Siamo sempre chiusi in studio a fare musica e ad elaborare idee. È una cosa che ci è venuta di getto, dato che scriviamo ogni giorno, è avvenuta in maniera spontanea e non in maniera fin troppo ponderata. Durante la realizzazione poi si sono delineate delle linee di pensiero, e da lì abbiamo visto che tutto questo combaciava anche con i 50 anni dell’hip hop riuscendo a dare nel corso del tempo una linea logica a quello che volevamo esternare. Ovvero vedere l’hip hop a 360 gradi, sia a livello storico, contemporaneo, che futuro.
Immaginiamo sia sempre più difficile andare a rispolverare vecchie strofe e ritornelli inediti di Primo, anche se sembrerebbe vi abbia lasciato davvero tanto materiale registrato. E’ così? Quanto è difficile per voi costruire un album attorno o, comunque, utilizzando strofe inedite risalenti almeno a 10 anni fa, che risulti comunque attuale? E il materiale di Primo utilizzato per “Fuoco Sacro” risale ad un periodo particolare o a vari momenti della sua carriera?
SQUARTA: Non c’è un rispolverare perché non rispolveriamo niente. C’è stato il materiale lasciato da Primo. Ad esempio il pezzo con Fabri era già quello che avete sentito, ovviamente lo abbiamo terminato. Quando sei un artista prolifico come Primo non tutte le cose che fai giungono al termine, e quindi ci siamo uniti al finale solo per dargli la forma più giusta per farlo uscire.
Non c’è stato un lavoro di rispolvero, ma di andare a finire un lavoro iniziato insieme a Primo.
Già guardando la tracklist dell’album spicca la quantità di collaborazioni presenti. All’interno dell’album sono presenti sia figure storiche della scena come Inoki, Fibra e il Colle, ma troviamo anche artisti delle nuove generazioni come Nayt, Mostro, Franco 126 e la inaspettata Ele A. Da cosa è stata guidata la scelta di tali artisti? Avete un rapporto particolare con questi ragazzi giovani o la vostra è stata semplicemente una scelta dettata dalle esigenze artistiche dell’album?
GRANDI NUMERI: Abbiamo un rapporto molto amichevole con quasi tutta la totalità della scena. Quando abbiamo proposto di celebrare il rap in questa forma, abbiamo avuto tanto riscontro. Nello specifico, gli artisti giovani presenti nell’album sono quelli che ascoltiamo, quelli che ci piacciono tanto. Pensiamo che anche se ad oggi il featuring è diventato garanzia di successo per l’algoritmo, questo deve essere un limite nel coinvolgere altri artisti. In ogni traccia pensiamo che un artista in particolare sta bene piuttosto che un altro e da lì cerchiamo di creare quella alchimia. Non è intenzione fare dei minestroni senza né capo né coda. Tra gli altri, che sono di un certo calibro, c’è anche Franco 126 che per me è un orgoglio avere nell’album, essendo per me uno dei migliori.
Sempre riguardo ai feat altra cosa da notare è che ognuno di loro ha uno stile particolare e riconoscibile. Quali sono stati secondo voi i contributi di ognuno di loro al progetto? C’è qualche aneddoto dietro ad una di queste collaborazioni come quella con Fibra o Inoki? Come e quando sono nate?
SQUARTA: Ogni feat ha la sua peculiarità, perché quando chiami degli artisti che hanno le palle quadrate è difficile che abbiano somiglianze con altri, quando invece prendi un artista che devi mettere solo per fare minestrone allora li partono i problemi. Noi abbiamo scelto artisti che per noi hanno il fuoco sacro. È stato una sorta di scambio: un po’ noi abbiamo cercato e voluto certi artisti, un po’ loro che non ci hanno per niente delusi, ma non ne avevamo dubbi.
Ad un primo ascolto, una delle cose che colpisce dell’album è la varietà delle produzioni. Non ci sono sound che si ripetono e il tutto risulta estremamente creativo ed ispirato. Quali sono stati, in breve, i passaggi del processo creativo di “Fuoco Sacro”? Avete volutamente ricercato una maggiore sperimentazione nella varietà dei suoni per l’occasione o è stato semplicemente un naturale adattamento allo stile degli ospiti o magari il ripercorrere fasi diverse del tuo stile e della vostra lunga carriera?
GABBO: Nel nostro gruppo ci sono tre personalità diverse che hanno tre modi di vedere le cose, tre mentalità che poi portano con il confronto a delle idee che a volte sposano di più il carattere di uno, rispetto a un altro.
Come band ci piace sempre sperimentare. Ad esempio il brano “Comfort Zone” è ispirato dall’esperienza di vita di Grandi Numeri che ha vissuto tanti anni in Colombia. Questo ci ha portato a collaborare con un artista di altissimo livello come Marlon Peroza. Con il sound tipico di strumenti popolari tipici della Colombia, abbiamo fatto in modo che si unissero le nostre radici con la cultura colombiana. Il brano con i Colle, ad esempio, ha una forte presenza old school del rap, ma anche con una forte influenza jazz. Tutto ciò non fa altro che finalizzare la diversità delle nostre 3 personalità.
SQUARTA: Il disco è sperimentale ma se senti quello che stiamo facendo ora, lo è ancora di più. Anche quando c’era Primo ci piaceva sperimentare, ci piacerà sempre.
Nell’ultimo periodo, anche a livello di mainstream, ad esempio c’è un ritorno all’uso massiccio dei samples, passata la moda delle 808 etc, mentre voi vi siete spesso distinti per l’uso di strumenti live…Qual’è il vostro approccio alla produzione? Come riuscite a coniugare il fatto di produrre suonando strumenti con l’evolversi delle mode e dei gusti degli ascoltatori riuscendo a mantenere lo stile e l’imprinting Cor Veleno sempre ben chiaro?
SQUARTA: Se per sample si intende prendere una roba suonata da noi in studio e lavorarla, sì. Se parli di prendere un suono da un’altra parte, chissà? La cosa bella è che per noi non si capisce, potrebbero esserci dei sample come no. L’importante è che quando ascolti la parte più emozionale, ti carica, il resto non importa. Comfort Zone è stata suonata qui direttamente dalla Colombia da Marlon Peroza.
GRANDI NUMERI: diciamo che io sono lo zingaro.
GABBO: Giorgio è lo zingaro ma con la sua cultura apolide ci arricchisce molto.
Infatti è stato interessante notare che in molte tracce (come ad esempio Comfort Zone) vengono utilizzati strumenti e samples non troppo usuali. Quindi, sempre ricollegandoci alle produzione, da dove è venuta questa voglia di sperimentazione?
GRANDI NUMERI: Per noi suonare ha più un senso a livello internazionale della parola. Nel mondo si usa la parola “giocare” per dire suonare. Siamo eclettici, poi quando si tratta di lavorare non ci poniamo limiti. Facciamo un po’ quello che ci pare, perché solo così il fuoco sacro e il processo creativo convergono. Se su un pezzo voglio fare un pezzo cantato, lo faccio. Non ci interessa il limite che molti artisti si pongono nella facciata da dover dare, la facciata è determinata da tutte le anime che fanno parte dello stesso progetto. Quindi se giocare è la maniera di tirare fuori il meglio, giochiamo. Ovviamente non facendolo come un hobby perché questa è la nostra vita.
SQUARTA: Noi abbiamo iniziato a fare rap quando nel rap c’erano le regole. E già col primo disco che abbiamo chiamato “Rock and Roll” abbiamo messo in chiaro che a noi di queste regole non ce ne frega un cazzo.
La cosa che deve sempre esserci nel nostro disco è che deve riconoscersi che sia nostro. Quella è la sfida no? Abbracciare tutto il mondo musicale, ma poi lasciare sempre riconoscibile il nostro tratto.
Esclusivamente da un punto di vista del beatmaking quali sono le cose che vi ispirano principalmente di più in questo periodo? E c’è qualche producer italiano o no che ammirate particolarmente ultimamente?
SQUARTA: È pienissimo di gente di qualità, così come si rivela anche un appiattimento e una fotocopiatrice sempre accesa. Quindi basta essere curiosi e cercare le cose che spaccano nel mondo e in Italia.
Il 2023 è stato convenzionalmente celebrato il 50° anniversario della Cultura Hip-Hop e il Rap, che soprattutto agli inizi della sua storia, anche in Italia, aveva una forte connotazione sociale e di protesta nei testi. Anche nei testi dei Cor Veleno sono sempre state presenti, in qualche modo, parole di critica sociale e al sistema. Oggi l’Hip-Hop e il rap sono stati addomesticati dal Sistema e in molti casi è diventata una forma di comunicazione funzionale al sistema stesso. Quale deriva sta prendendo a vostro parere la scena rap italiana, da questo punto di vista? C’è ancora possibilità di fare critica sociale e svegliare le coscienze, senza risultare ipocriti? Ci sono stati cambiamenti importanti a livello sociale che hanno modificato l’andamento della scena non solo hip hop ma underground italiana in generale a vostro parere?
SQUARTA: C’è sicuramente ancora margine per fare delle robe un po’ di rottura.
È chiaro che fino a qualche anno fa il modello era quello del calciatore ricco, se oggi i ragazzini prendono come riferimento i rapper che a loro volta prendono come modello gli influencer, il rapper non diventa più un artista, ma un prodotto. Se tu stesso ti rendi prodotto sei destinato a sopperire. Se resti con le palle, arrivi alla gente e resti un personaggio di rottura. Ma non ti devi fermare ai primi ostacoli, perché è questo quello che stiamo notando. Molti pensano di fare questo lavoro, poi quando si scontrano con la realtà, preferiscono già cambiare. Questo lavoro è fatto di porte chiuse: se hai la forza di lottare, è un lavoro stupendo.
Grandi Numeri in alcuni brani abbiamo notato un cambiamento nel tuo flow caratteristico, riuscendo ad adattare il tuo stile alle diverse sonorità dell’album in modo naturale. In generale oggi, dal tuo punto di vista, com’è cambiato il modo di rappare rispetto a vent’anni fa? In che momento e in che maniera hai sentito l’esigenza di adattare la tua scrittura e di il tuo approccio ai beat a stili diversi o più attuali?
GRANDI NUMERI: Ho sempre cercato di essere più libero possibile e non avere uno stile specifico. Mi è sempre piaciuto confrontarmi con sonorità diverse, sentire quello che la musica mi suggerisce. Questa cosa è esistente in Fuoco Sacro ma anche in tanti altri pezzi durante la nostra carriera. Ho sempre amato la versatilità e il flow più disparato. Per quello che riguarda il cambiamento del rap, è fantastico perché comunque c’è sempre un’evoluzione che non è statica. La musica si evolve ed è giusto così.
Altra cosa che non manca e che fa sempre un certo effetto sentire la voce di Primo Brown, un modo perfetto per mantenere il suo ricordo sempre in vita, specialmente perchè l’album si apre e chiude con un suo sample. Qual è il contributo che dava nel processo creativo e in studio di cui sentite maggiormente la mancanza, oltre che ovviamente dal punto di vista della personalità?
SQUARTA: David era uno che ti chiamava tutti i giorni e ti diceva “ho scritto un pezzo nuovo”. Era anche difficile stare al passo della sua produttività. Quando poi viene meno una figura come la sua, oltre a venire meno un fratello, un amico, un diamante, quello che manca in studio è la sua capacità di riuscire a trainarti sempre dal lato giusto della musica anche quando in alcuni giorni eri meno ispirato.
Questione live: attualmente sempre più rapper stanno preferendo le esibizioni con band dal vivo. Innanzitutto, da cosa potrebbe essere stato causato questo cambio di direzioni nel live? Inoltre, la musica rap in generale, necessita di un approccio differente rispetto al suonare altri generi?
GABBO: Abbiamo scelto di stare con band sul palco già dal 2006, scelta nata dalla voglia di fare musica insieme e maturare sempre uno scambio produttivo. Per quanto riguarda noi, è stata la forte voglia di fare musica con più persone possibili anche con un genere musicale che non era ancora molto attivo nel fare questo all’epoca. Abbiamo visto che ha funzionato e, come hai detto tu ora, ormai è diventato anche comune farlo.
SQUARTA: Ma siccome non ci piace mai fare la stessa cosa, abbiamo deciso anche di cambiare la formula e fare dj, basso e rapper. Ogni show ha un’idea diversa.
Però c’è da specificare, non è che con la band allora il live diventa figo a prescindere. Se sei forte, spacchi con o senza o band.
Chi ha realizzato la cover del disco e, domanda quasi d’obbligo per il nostro magazine, quali sono i vostri rapporti con la scena dei graffiti Romana?
GRANDI NUMERI: Io personalmente sono cresciuto con molti di loro come amici. Conosco molti writers. Nel tempo il legame è rimasto. In Questo disco abbiamo lavorato con Diamond, FlavioSolo, Ibanez,, abbiamo chiesto di realizzare una cosa differente e che potesse reincarnare più che l’iconografia del gruppo, ma il fuoco sacro stesso.
INTERVISTA REALIZZATA CON IL CONTRIBUTO DI CARMELO CARUSO (@_carmelocaruso)