Selezione Hip Hop di Agosto
Abbiamo preparato delle brevi recensioni per guidarvi all’ascolto di alcuni dei migliori progetti Hip-Hop del mese, selezionati per voi dalla redazione di Throw Up Magazine. Sintonizzatevi sulle nostre playlist di Spotify e… Buon ascolto!
Essere nelle posizioni di comando, accanto agli onori, comporta responsabilità, oneri e avversità. Nas, che ha raggiunto questo status molto velocemente, quasi 27 anni fa ( quando debuttò con Illmatic ), è da molto tempo che deve confrontarsi con il peso di essere considerato uno dei Re di questa cultura, della sua città e del suo quartiere, Queens, New York. Durante la sua carriera ha dovuto affrontare più’ volte invidia, nemici, odio, pettegolezzi e, soprattutto , aspettative altissime, non solo artisticamente, in quanto dotato di talento divino, ma, anche, per quanto riguardo la sua figura pubblica e la vita privata.
Nas, scrollandosi dalle spalle diversi pesi e imputazioni, tra cui la maledizione per cui ogni nuovo disco viene paragonato ai suoi primi leggendari lavori, ha deciso con il suo ultimo album, “King’s Disease”, di fornire una retrospettiva onesta su cosa significhi ricoprire tale posizione. Un malanno quello dei Re, che non solo richiede disciplina e autocontrollo nel gestire le proprie ricchezze, salute e benedizioni, ma comporta anche il dover sempre dimostrare a se’ stessi e agli altri di essere di valere questa posizione.
Insegnamenti che, secondo il rapper del Queens, però valgono per tutti coloro che ambiscono , anche, nel loro piccolo ad un ruolo carismatico di guida.
Nota d’obbligo: un vero boss, deve , anche, sapere circondarsi di ottimi collaboratori e il producer californiano Hit-Boy, calza a pennello il ruolo di cavaliere, orchestrando il tappeto musicale adeguato ad un Re.
La città di New York sta vivendo un momento difficile. Inizialmente colpita, soprattutto nei suoi popolosi quartieri popolari, dalla prima violenta ondata di Covid-19 che ha investito gli Stati Uniti, portandosi via, tra i tanti , anche , alcuni rappresentanti della scena Hip Hop cittadina, tra cui il caro amico di Dave East, King Shooter (R.I.P). Superato il picco dell’epidemia ha, poi, visto eruttare la rabbia popolare per l’ennesimo episodio di brutalità razzista da parte della polizia americana e l’assassinio di George Floyd.
In questo contesto di una Grande Mela ferita e svuotata delle solite migliaia di turisti e dai lavoratori pendolari degli uffici dei grattacieli di Manhattan, la fascia piu’ debole della popolazione e delle “minoranze”, residente nei quartieri popolari di New York, rimasta ad affrontare questa tempesta in prima linea, ha bisogno di una voce vicina di cui possa fidarsi e in cui cercare una motivazione per guardare avanti. Ad Harlem, raccoglie questa missione Dave East, che in Karma 3 riesce a ritrovare l’ispirazione per dare voce alle strade di New York, esprimendo le emozioni contrastanti che sta vivendo la città, tra sofferenza e speranza.
Continuando il parallelo con l’NBA, chi si ricorda i Detroit Pistons dell’annata 2003-2004, non può dimenticare Richard Hamilton: la sua espressione pacata, nascosta dalla maschera che proteggeva i postumi di una frattura nasale, in realtà nascondeva un letale tiratore, capace di muoversi con naturalezza tra i blocchi dei lunghi e punire le difese avversarie. Ecco, Boldy James, che sta vivendo la sua migliore stagione, coronata dalla chiamata di Westside Gunn per la sua franchigia, in corsa per il dominio della “Eastern conference”, la Griselda Records, ha la stessa eleganza, flemma e letale precisione di Hamilton. Westside Gunn che come Larry Brown in panchina, da produttore esecutivo, muove le sue pedine, accoppia al rapper di Detroit, Jay Versace, giovane “influencer”, trasformatosi, all’insaputa del mondo, in talentuoso producer e scoperto dal grande pubblico, sempre grazie a Gunn, che aveva selezionato dei beats di Jay per il suo disco di successo “Pray For Paris”. La coppia funziona perfettamente e “Versace Tape” è un elegante mix, di campioni soul e il freddo pacato rap di strada, marchio di fabbrica di Boldy James.
Se dovesse esistere per l’Hip-Hop americano il premio di “Most Valuable Player” per la stagione, come per l’NBA, il rapper del New Jersey, Ransom, a nostro parere, meriterebbe sicuramente di essere tra i principali candidati. In sei mesi, con i tre capitoli della serie “Director’s Cut”, si è lanciato in una rincorsa grandiosa per riprendersi quel rispetto, meritato e guadagnato sul campo da almeno 15 stagioni, che per qualche motivo, la “Lega”, gli sta negando. Come Jason Kidd nelle sue stagioni ai Nets, Ransom, classe ‘80, ha raggiunto quella visione di campo e quelle abilità tecniche superiori che gli permettono di giocare una partita a sé e di guidare il gioco dall’alto, a suon di triple doppie. Dategli solo il suo Keith Van Horn, nell’angolo, rappresentato per l’occasione dall’ eccezionale produttore canadese Nicholas Craven e il titolo è servito. La comunità Hip-Hop ha una grande responsabilità: riconoscere e rispettare l’incredibile talento di Ransom: dategli ora i suoi onori e i suoi “fiori”, perchè una volta che deciderà di ritirarsi dal “Gioco”, avremo perso uno dei pezzi più’ pregiati dell’ultima decade e rimarranno solo i rimpianti. Ascoltate “Director’s Cut 3” e prendete appunti, perché è difficile trovare abilità liriche, barre e perle di vita vissuta così fluidamente incastonate.
Il livello di “self-confidence” e autoreferenzialità di Young Dolph ha raggiunto,ormai, picchi altissimi. D’altronde come dargli torto, grazie al suo incredibile intuito imprenditoriale ha costruito un piccolo impero partendo veramente dal fondo, del piu’ profondo Sud degli Stati Uniti, dove il retaggio schiavista è ancora impresso nei ricordi dei discendenti delle comunità afroamericane, che ora popolano i ghetti delle cittadine del Tennessee. Young Dolph arriva dalla povertà estrema e può dire davvero di essersi fatto da solo, dopo aver rifiutato diverse offerte da parte di diverse major e aver costruito un etichetta milionaria indipendente a Memphis, la P.R.E ( Paper Route Empire ), di cui lui è il ricco CEO. Nonostante, però continui a ricordarci le sue incredibili doti di uomo d’affari e a sfoggiare auto lussuose, catene preziose e ricchezze accumulate, anche, durante tutta la durata di questo suo ultimo album “Rich Slave”, Young Dolph non ha dimenticato da dove arriva e non ha perso la sua lucidità.
Sa molto bene, infatti, che l’America bianca e razzista lo guarda con sospetto e lo considera, ancora, uno schiavo, uno schiavo ricco e ambizioso, e di conseguenza non può abbassare la guardia.
“Fly Art”, il mini album della coppia di rapper del Delaware, Ru$h e Jay Nice, accompagnati in diversi brani, dalle collaborazioni d’elite di Roc Marciano e Willie The Kid è un condensato di rap lussuoso per palati fini.
Come un cortometraggio, racconta la “dolce vita”, di questi MCs e imprenditori self-made, nati nel ghetto, che ora, invece, finalmente, si godono i frutti dei loro sacrifici.
Tra una gita a bordo di un motoscafo sul Lago di Como e una passeggiata a Parigi, sorseggiando le bollicine di un flute di Champagne, Ru$h, Jay Nice e i loro ospiti, ci accompagno in un viaggio in prima classe, dotato dei migliori comfort e anche il Rap e le produzioni, qui, brillano.
Sauce Monk 3 è il terzo capitolo di questa saga, che vede la fusione tra il rapper del Bronx , (New York) $auce Heist, e il producer di Buffalo, Camoflauge Monk, che i piu’ addentro al movimento Hip Hop underground, conosceranno per essere stato tra i primi a confezionare beats per Westside Gunn. Le sonorità create dai loop oscuri di Camo Monk, infatti, hanno quel sapore grezzo, sporco e perfettamente underground, capaci di ricreare le atmosfere notturne dei bassifondi del Bronx, dei tunnel della metro, dei muri dei palazzoni, ammuffiti e ricoperti da tag e graffiti , delle bodegas 24h agli angoli delle strade, con le loro luci al neon.
$auce Heist e gli ospiti del disco, tra cui Ankhlejohn, El Camino, Al.divino, Vic Spencer e Rome Streetz, sono perfettamente a loro agio, nel rappresentare e raccontare questo habitat e le sue dinamiche sotterranee, misteriose e nascoste, all’ombra della regolarità della vita “normale” alla luce del sole. Sauce Monk 3 è un disco per chi ama e vive le atmosfere underground della propria città.
Ascoltando questo album, senza conoscere nulla del suo autore, Jay Royale, e della data di pubblicazione, in molti potrebbero credere di ascoltare un qualche classico hip hop degli anni ’90 , di un qualsiasi rapper del Queensbridge o di Brooklyn. In effetti, l’approccio, quasi documentaristico e le atmosfere sono quelle: complessi popolari, appartamenti fatiscenti, crew sulle panchine, pit bull, strade e cortili, spaccio e violenza… Ma non ci troviamo tra i projects newyorchesi nel ’96, ma a Baltimora nel 2020, il che è del tutto, ancora, credibile e attuale. Si perché East Baltimore, resa famosa dalla serie The Wire nei 2000, è, purtroppo, ancora oggi, una delle zone più violente e degradate degli Stati Uniti. Jay Royale, cresciuto in questo ambiente, dimostra di essere un liricista di prim’ordine e, accompagnato da produzioni dal gusto classico, descrive ciò che lo circonda e i flashback del suo passato con la capacità cinematografica e il senso critico che rende “The Baltimore Housing Project“( letteralmente: “le popolari di Baltimora” ), una sorta di pellicola, in bianconero, sullo stile dell’ “Odio” ( la “Haine”) di Kassovitz, per intederci.